L’appuntamento con il referendum costituzionale del 4 dicembre si avvicina sempre di più e il dibattito tra il fronte del Sì e quello del No si fa sempre più rovente. Non si contano i vip (o presunti tali) che ogni giorno aderiscono ad una delle due parti, spendendosi per portare dalla propria sponda quanto più consenso possibile. IMDI ha affrontato l’argomento con contributi volti a offrire chiarezza e ad analizzare i dibattiti tra gli esponenti più eccellenti delle due fazioni.
Come sempre più spesso accade in questi casi, un fronte di discussione particolarmente caldo è quello dei social network i quali, per la loro stessa natura, si prestano naturalmente ad essere terreno di coltura e diffusione di notizie false, inventate, strumentalizzate e capziose. Nemmeno la consultazione referendaria sfugge alle bufale tanto amate dai pirati 2.0, specialmente da quando si sta tentando di trasformare l’occasione di voto stessa in “strumento” per delegittimare il Governo in carica o per esprimere questa o quella preferenza politica. Giova ricordarlo: gli italiani saranno chiamati a decidere l’opportunità di una serie di modifiche alla Costituzione. Il referendum, per sua stessa natura, non può e non deve trasformarsi in una tornata elettorale standard. Non esistono vincitori o vinti, dall’esito non possono dipendere cariche pubbliche, nessuno viene eletto o destituito; quello che sembra sfuggire ai più è che votando sì o no non si manda a casa nessuno, ma si decide per il futuro del Paese intervenendo direttamente sulla Carta che ne è a fondamento.
Particolarmente attivo nell’opera di strumentalizzazione del quesito è il fronte del No che grazie a sostenitori come Massimo D’Alema, Marco Travaglio, Antonio Di Pietro, Paolo Cirino Pomicino e l’onnipresente Alessandro Di Battista ha fatto nascere una serie di “miti” atti a smontare le tesi del sì, peccato che questi “miti” denotino una scarsa conoscenza del quesito in sé e la voglia di far leva sulle paure di un popolo preda dei propri istinti, piuttosto che dedito all’esercizio della ragione. Il comitato del Sì ha quindi elaborato, attraverso il sito ufficiale un vademecum utile a rispondere a tono all’amico che posta su Facebook l’ennesimo appello “Votiamo NO e mandiamoli tutti a casa!!111!!” attraverso una serie di brevi e pratici video che, fatti alla mano, smontano le più fantasiose tesi del No espresse attraverso la viva voce dei loro fautori. Vediamoli nel dettaglio.
Un infervorato Antonio Di Pietro si scaglia contro il Governo e l’attuale Parlamento che non potrebbe legiferare, in quanto non scelto dagli italiani e risultato di una legge elettorale “dichiarata incostituzionale”. Ma da quando il Presidente del Consiglio esce direttamente dalle urne? Inoltre, la sentenza 1/2014 della Corte Costituzionale stabilisce la totale legittimità del Parlamento in tutte le sue funzioni.
Paolo Cirino Pomicino, uomo politico non proprio di primo pelo, appare risentito dal fatto che se passasse la Riforma il Senato avrebbe 40 giorni di tempo per decidere se apportare delle modifiche alle proposte di legge. Lo spauracchio è sui tempi, da sempre biblici, che si allungherebbero ancora di più. In realtà, i 40 giorni sono previsti, ma si dividono in 10 giorni per esaminare la legge e 30 per approvare le proposte di modifica. Lo snellimento della procedura è evidente.
L’eminente professor Salvatore Settis, esprime il suo disappunto per un Presidente della Repubblica «eletto da 10-15 persone, non vale nulla». La Riforma prevede un quorum per l’elezione di 438 voti. Non proprio “nulla”.
Il presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione, nonché volto noto televisivo, Ferdinando Imposimato si preoccupa del fatto che se vincesse il sì il parlamento accentrerebbe su di se molte funzioni che adesso sono precipue degli organi di garanzia, svuotando questi ultimi del loro significato e delle loro funzioni. No, nessun articolo della Riforma prevede questo, anzi, si punta a dare stabilità e trasparenza limitando il ricorso ai maxi emendamenti e ai voti di fiducia.
Veniamo al paladino degli onesti Alessandro “Dibba” Di Battista che si scaglia contro il nuovo “Senato delle Regioni” definendolo «un dopolavoro per gente non eletta dai cittadini». Si, il nuovo Senato sarà composto da sindaci e consiglieri regionali, ma ovviamente questi ultimi verranno eletti durante regolari consultazioni, come già accade tutt’ora. Quindi, di cosa ci preoccupiamo esattamente?
Marco Travaglio contesta l’innalzamento della quota minima di firme da raccogliere per indire un referendum, che passerebbero dalle attuali 500mila a 800mila. Evidentemente, a Travaglio sfuggono i tanti quesiti che in questi anni sembravano essere stati promossi a furor di popolo per poi regolarmente andare deserti ogni volta che si arrivava alle urne. Ogni consultazione “a vuoto”, non concretizzatasi per mancanza di quorum, si è trasformata soprattutto in uno spreco di risorse economiche pubbliche. Per ovviare a questo, la Riforma prevede due step: per i promotori che raccolgono le classiche 500mila firme non cambia nulla, per rendere valido il referendum dovrà votare sempre il 50% + 1 degli aventi diritto. Mentre chi riesce a superare il tetto delle 800mila firme avrà un bonus: non conterà più il quorum in quanto il referendum sarà valido se si recherà a votare il 50% + 1 dei votanti alle precedenti politiche. L’articolo 75 oggetto di proposta di riforma risale a quando gli italiani in generale e gli aventi diritto al voto in particolare erano molti meno di oggi. Innalzare la quota di firme richieste non farebbe altro che adattare la norma alla naturale crescita della popolazione. Il vantaggio è comunque duplice, perché da una parte minimizza il rischio di consultazione “inutile” e dall’altra responsabilizza il cittadino. Votare è un diritto, ma anche un dovere e l’astensionismo che ha caratterizzato le ultime tornate un po’ a tutti i livelli fa capire che forse troppi italiani lo hanno dimenticato.
È assolutamente giusto avere la propria opinione e sostenerla, anche in maniera attiva, anche attraverso i social. Peccato che la maggior parte delle opinioni imperanti si sia formata più sul sentito dire che sulla presa di coscienza di fatti reali.
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