La carenza di beni di prima necessità, mista ad una sfiducia dilagante nei confronti del presidente Maduro potrebbe portare ad elezioni anticipate e ad uno storico cambio di rotta nel paese sudamericano
Un manifestante mostra la bandiera del Venezuela per le strade di Caracas (tg24.sky.it)
Nicolàs Maduro si è insediato nell’aprile del 2013 in seguito al decesso di Hugo Chavez,
appena tre anni di governo quindi, che tuttavia sembrano essere già abbastanza per il popolo venezuelano.
Nonostante la sua linea politica vacillasse fin dall’inizio, questa dimostra ora tutta la sua debolezza, soprattutto in vista di un possibile referendum di sfiducia promosso dal fronte delle opposizioni (MUD).
Ad inizio Agosto si era già raggiunto l’1% degli iscritti alle liste elettorali necessari a livello costituzionale per dare il via alla deposizione di Maduro, esasperati da un sistema economico al collasso che non riesce più a provvedere beni essenziali alla popolazione, colpita anche da una violenza dilagante che ha conferito alla capitale Caracas il triste primato di città più violenta del mondo.
Nicolàs Maduro durante una conferenza (lineadiretta24.it)
La forte crisi della repubblica Bolivariana è la diretta conseguenza di una linea economia scellerata giunta oramai al capolinea.
Durante gli anni 2000 il Venezuela ha conosciuto una rapida espansione del PIL, espansione che ha consentito al presidente Chavez di attuare una serie di politiche sociali in grado di garantirgli un forte consenso popolare (non a caso verrà rieletto ben quattro volte consecutive) che hanno innalzato il tasso di occupazione e alfabetizzazione del paese.
Ma il volo di Icaro si è trasformato in una caduta libera a partire dalla crisi economica del 2008, per poi schiantarsi al suolo definitivamente negli ultimi mesi con la svalutazione del petrolio, unico vero motore dell’economia venezuelana.
Negli anni infatti il paese sudamericano ha basato la propria ricchezza sull’esportazione dell’oro nero senza reinvestire i propri capitali in altri settori, probabilmente per garantire al governo gli introiti necessari per mostrare agli elettori (e al mondo) che un’alternativa socialista fosse ancora possibile, mostrando tuttavia la propria inadeguatezza di fronte ad una crisi economica così devastante.
Il Venezuela infatti presenta oggi uno dei tassi d’inflazione più alti al mondo (stimato intorno al 200% dalla stessa banca centrale), dovuto principalmente al crollo vertiginoso del prezzo del petrolio (-37% in due anni), che costituisce il 74% delle esportazioni, e alla conseguente svalutazione del Bolìvar, la valuta nazionale, che negli ultimi cinque anni ha perso il 57% del proprio valore mentre la contrazione del PIL per il 2016 è stimata intorno all’8%.
“Non c’è benzina” (www.ilmondo.it)
Una situazione di forte instabilità quindi, che si riflette anche sullo scenario politico: come già detto in precedenza, la legittimità del presidente Maduro è stata ampiamente messa in discussione, tanto da portare le opposizioni a presentare un referendum di sfiducia, referendum che tuttavia è stato già ritardato dal Consiglio Nazionale Elettorale a causa dell’impossibilità tecnica di raccogliere le firme necessarie e di poterle verificare tutte entro la fine dell’anno.
Se il referendum avvenisse dopo il 10 Gennaio del 2017 infatti, Maduro verrebbe sì sfiduciato, ma sostituito dal suo attuale vice-presidente Aristóbulo Istúriz, mentre se la sfiducia avvenisse prima verrebbero indette nuove elezioni.
Tali ritardi hanno portato il segretario delle opposizioni Jesus Torrealba ad indire una grande manifestazione di protesta il 1° Settembre scorso, e che ha visto la partecipazione di centinaia di migliaia di persone, tuttavia in seguito ad alcuni scontri tra polizia e manifestanti circa 20 persone, tra cui alcuni politici di opposizione, sono state arrestate per non meglio precisati controlli.
Il paese non è nuovo a manifestazioni e disordini che anzi si protraggono ininterrottamente dal 2014, tuttavia la repressione del governo ha portato anche alla morte di alcuni manifestanti, senza contare i casi di abusi e torture nei confronti dei dissidenti denunciati da Human Rights Watch.
(qn.quotidiano.net)
Una condizione precaria che va a sommarsi ad una evidente crisi umanitaria, in un paese in cui cibo e medicinali scarseggiano, costringendo il governo a ricorrere a misure drastiche come la recente decisione di obbligare tutte le aziende del paese a cedere i propri dipendenti per un breve periodo per la produzione agroalimentare, opprimendo ancora di più la libera impresa.
La scarsità di cibo è facilmente constatabile nei supermercati, dove la gente aspetta ore in fila solo per poter entrare, per poi ritrovarsi davanti a scaffali vuoti.
Situazione che ha spinto dagli inizi di Luglio migliaia di venezuelani ad attraversare il confine con la Colombia nella speranza di poter acquistare quei beni essenziali che oramai risultano reperibili solo al mercato nero a prezzi inaccessibili.
È evidente come l’epoca di stampo socialista-bolivariana inaugurata nel 1999 con il primo mandato di Hugo Chavez (riconfermato in seguito alla modifica della costituzione nel 2000, e poi ancora nel 2006 e 2012) e interrotta solo una volta per un breve periodo nel fallito golpe del 2002 (no, Pinochet non c’entra assolutamente nulla questa volta) sia quasi giunta al termine.
Il mancato reinvestimento dei capitali derivanti dal petrolio che per anni ha finanziato le politiche sociali si sta facendo sentire ora più che mai, e la popolazione sembra pronta a lasciarsi alle spalle il sogno o per meglio dire l’utopia socialista, scontratasi con una dura realtà che ha portato a galla una corruzione dilagante all’interno del sistema venezuelano.
L’incapacità del governo di fronteggiare l’emergenza umanitaria hanno fornito un ulteriore conferma su quanto il modello venezuelano sia oramai obsoleto, mentre Maduro continua a puntare il dito verso gli Stati Uniti ed i partiti di opposizione, accusati di organizzare ipotetici complotti contro il suo partito, senza affrontare la reale situazione del paese.
Studente presso la facoltà di scienze politiche alla Federico II di Napoli, non c'è molto da dire su di me, se non la mia passione per la politica che mi ha portato a scrivere per IMDI
19 Settembre 2014
25 Marzo 2013
Studente presso la facoltà di scienze politiche alla Federico II di Napoli, non c'è molto da dire su di me, se non la mia passione per la politica che mi ha portato a scrivere per IMDI
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