Terminate le Olimpiadi più brasiliane della storia si può trarre un bilancio, serio, dei risultati ottenuti dalla nutrita spedizione italiana.
Su siti sportivi (e non) autorevoli si parla di bilancio positivo e questo partendo da due obiettivi dichiarati (tra poco vedremo da chi):
1° Obiettivo: rimanere nella top10 mondiale del medagliere.
2° Obiettivo: superare le 25 medaglie.
Entrambi gli obiettivi sono stati centrati, perché l’Italia è arrivata al 9° posto nel medagliere, con un totale di 28 medaglie così distribuite: 8 ori, 12 argenti, 8 bronzi; però il discorso non è così semplice e la realtà non è così rosea anche se sì, queste sono state davvero le Olimpiadi più brasiliane della storia (record di ori in una singola edizione per la nazionale Carioca).
Prima di tutto si deve considerare chi è che ha stabilito gli obiettivi, ovvero Giovanni Malagò, Presidente del CONI. La più alta carica responsabile dello sport italiano decide di fissare quello che per lui è un traguardo accettabile per la spedizione italiana. Ovviamente da parte coinvolta in causa la sua quota medaglie è giustissima: ciò non toglie che la logica dietro a questo discorso non sia divertente. Né per voi né per lo sport italiano.
Parlando di dati oggettivi, non risulta però difficile capire perché lo sport italiano nella sua totalità stia invece scivolando sempre più verso il baratro, senza ricambi, senza speranza, ma solo con qualche riserva indiana che porta cocciutamente avanti “qualcosa” contro tutto e contro tutti.
Gli sport: Rispetto alle Olimpiadi di Londra del 2012, da 26 sport olimpici per un totale di 39 discipline ora si hanno 28 sport olimpici e 42 discipline. Gli eventi da 302 passano a 306. Quindi più medaglie a disposizione: addirittura si è passati dalle 739 medaglie del 1988 alle 974 di Rio. Inoltre in molti sport (anche di livello) è pesata l’assenza di atleti di livello della Russia per via delle vicende relative al doping.
Le proporzioni: Nelle prime 20 nazioni del medagliere l’Italia non è certo messa benissimo nel rapporto medagliati/popolazione. L’Italia rimane nella top10 essenzialmente grazie alle medaglie di argento, perché alla fine ha concluso con gli stessi ori (8) di Olanda e Ungheria, paesi la cui popolazione è nettamente inferiore a quella italiana; i paesi con cui confrontarsi sarebbero casomai Germania, Francia, Gran Bretagna e anche il Giappone. Inutile dire che dal confronto l’Italia ne esce con le ossa rotte, specialmente nei confronti della Gran Bretagna che ha portato avanti gli investimenti non solo logistici effettuati per i precedenti Giochi di Londra (poi c’è la divertente curiosità che riguarda il premio per la medaglia d’oro: in Italia alzato da 140.000 € a 150.000 €, in Gran Bretagna fermo alla simbolica cifra di zero come Norvegia e Svezia).
La qualità: le medaglie che contano arrivano solo da settori ben precisi (tiro, in primis), da campioni più o meno isolati (nuoto, con Paltrinieri e Detti), e da federazioni storicamente “bacino di medaglie” (scherma, comunque molto al di sotto delle aspettative in questa edizione). Solo in rari casi c’è stata una programmazione, e medaglie sfuggite per vari motivi in altre edizioni sono finalmente arrivate in dote ai campioni italiani (riferimento specifico: Elia Viviani, nella prova di ciclismo su pista “Omnium”). C’è poi il caso emblematico dell’atletica, ovvero di quella che dovrebbe essere la disciplina regina delle Olimpiadi, che a questa edizione segna un impietoso “zero” nel conteggio delle medaglie, e questo in una edizione dove mancavano alcuni big russi. Certo, c’è stato qualche piazzamento, qualche medaglia di legno, c’è stato l’infortunio fisico del saltatore Tamberi e quello di altro tipo (se ne parlerà in un articolo a parte data l’importanza della vicenda) del marciatore Schwazer (entrambi possibili medagliati, viste le misure saltate dal primo e i tempi fatti segnare dal secondo nei primi mesi del 2016), ma questo non giustifica il nulla espresso da un settore in crisi ormai da anni e dove nulla sembra essere fatto per cambiare lo stato drammatico delle cose.
Quindi in definitiva e per concludere: no, l’Italia non è andata meglio di Londra. Al massimo il risultato ottenuto è uno stanco pareggio, raggiunto sommando qualche relativa sorpresa, piacevoli conferme (che però non saranno eterne) e preoccupanti mancanze, crolli o vere e proprie assenze ormai endemiche. Uno situazione di stallo perdurante da tre edizioni delle Olimpiadi, nonostante cambi di dirigenti, fisiologico ricambio degli atleti (parziale pure questo, visto che alcuni hanno partecipato a più Olimpiadi anche con buoni/ottimi risultati), e cambio di governi e relative politiche dello sport… sempre che ci siano: perché alla fine il problema sta tutto lì, nell’input che manca e che altrove (la già citata Gran Bretagna) invece è stato il volano capace di far veramente spiccare il volo alla realtà sportiva di un Paese.
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