(Marchetta: questo articolo, rivisto e corretto, fa parte del mio ebook nostalgico-demenziale”Anni ’90 – Dagli 883 a Carmageddon”. Se vi interessa, lo trovate a 0.99€ su tutti gli store di ebook).
Tutti nella nostra vita abbiamo attraversato un periodo in cui ci professavamo degli estremisti politici (sinistra o destra che sia, non fa veramente differenza). Tale periodo di norma va dai 12 ai 16, ossia quando si scopre (o meglio, si crede di aver scoperto) la politica e la cosa fa ancora figo. Poi c’è gente che da questa fase non ci esce mai, ma quello, vabbé, è un altro discorso.
Non so perché mi è uscita questa introduzione, io volevo scrivere dei gruppi punk italiani anni ’90, la cui qualità tanto iconografica quanto contenutistica si basa in buona parte sui rutti. Sì, se siete anagraficamente vicini a me (’86), è probabile che abbiate passate un periodo a sentirvi strafighi ascoltando gente che diceva veramente parolacce, altro che Max Pezzali (link related), e che evocava un mondo che a quei tempi era assolutamente affascinante, un mondo fatto di sbronze, concerti, canne, ragazze troie e/o stronze e, appunto, rutti.
Dal punto di vista tecnico e qualitativo, questi gruppi in effetti rappresentano molto meglio il punk nell’accezione data dai Sex Pistols del pop-punk dei vari Green Day e Offspring proprio negli stessi anni: cioè tre accordi in croce, distorsioni cinofalliche e voce stonata e sgraziata a metà tra “sono incazzato col mondo” e “non ho digerito bene la peperonata”. Poi c’è pure la giustificazione politica di estrema sinistra, ma conta davvero qualcosa alla luce dei fatti? Il fatto che esista tutto un sottobosco di gruppi punk di estrema destra, che esistano gli stessi skinhead in versione da “compagno”, il movimento “Oi!” che non si capisce bene da che parte stia etc. rivela al me stesso ventisettenne disilluso che in realtà la politica, sinistra o destra che sia, in questo caso c’entra veramente poco, conta solo il sentirsi fighi in quanto estremisti (e con questa affermazione mi sono garantito qualche calcio nelle palle dagli anfibi di commies e fascistoni all’unisono).
Piuttosto, a proposito del punk italiano di quei tempi vi devo svelare una cosa che possibilmente vi farà incazzare, ma di cui è giusto avere la consapevolezza: il punk italiano, spesso e volentieri, faceva schifo.
Ecco, ricordate Vizi dei Moravagine, giusto? Ah, che nostalgia. Beh, risentitela adesso. Eh, sì, sembrano i Finley, o i Dari. Fanno veramente cagare a spruzzo. Ma forse non è questo il punto. E allora, se non sta nell’attivosmo politico e nemmeno nella qualità (non pervenuta) dei testi e della musica, qual è il senso del punk italiano degli anni ’90 e perché ci siamo passati in così tanti se faceva così cagare?
Beh, facciamo un esperimento: proviamo ad elencare i nomi delle band più significative di questo sottogenere:
Punkreas
Peter Punk
Los Fastidios
Derozer
Cattive Abitudini
Pornoriviste
Persiana Jones
Klasse Kriminale
Blue Vomit
E vi assicuro che manco mi sono dovuto sforzare. Nomen onem. Del resto, stiamo parlando di gruppi di diciottenni costruiti (anche se non lo ammetteranno mai) per piacere ai quattordicenni,. Beh, almeno funzionavano bene; a me, quanto avevo quattordici anni, sta roba piaceva ecco. Non ero abbastanza figo per andare a concerti, neanche per andare ai negozi underground (i dischi me li passavano i miei conoscenti alternativi un po’ più fighi di me, poi sono arrivati napster e winmx e mi si è aperto un mondo), però sentire nella tua cameretta questa roba così grezza, così sfrontata, così apparentemente senza filtro, era una figata, ve lo posso garantire. Sì, ero uno di quelli che alzava il volume delle casse quando arrivavano le parti con molte parolacce, illudendosi di indignare la mamma e le sorelle maggiori (che ovviamente sono state quattordicenni pure loro, e quindi facevano solo finta di scandalizzarsi).
Ma quindi, il senso di ri-ascoltare sta roba così squallida e scadente, quale sarebbe? Beh, ovviamente l’effetto nostalgico gioca una grossa parte. Se certe canzoni ti fanno venire in mente le prima semi-sbronze con le moretti da 66 ai parchetti, i garini in scooter, le limonate durissime della domenica pomeriggio, beh, così ad occhio, anche se gli accordi sono tre in croce e i testi, col senno di poi, sono di una banalità disarmante, forse ci prendono giù meglio delle canzoni che ci fanno ricordare il timbro del cartellino o la coda in posta per pagare la bolletta (non chiedetemi quali sono le canzoni che ci fanno venire in mente queste cose, forse i Coldplay. Che però hanno molto successo. Boh), no?
Ma è tutto qui? I gruppi punk italiani erano solo cazzatelle per ragazzini che oggi ci illudiamo di ricordare con affetto? Forse c’è qualcosa di più. A volte mi capita ancora di imbattermi in canzoni come questa, le cui ritmiche non saranno indimenticabili e il cui testo non sarà profondissimo, però, mi dico “Eh, sta roba è proprio vera”. L’atteggiamento scazzato, strafottente e furbescamente ribelle messo in scena dalla quasi totalità dei gruppi punk italiani di quel periodo forse conserva ancora parte del suo fascino.
Vabbè, arriviamo comunque al punto: che ne rimane oggi dei gruppi punk italiani? Beh, per quel che ne so, credo poco. Non so se sia perché l’esigenza di ribellione e di trasgressione dei quindicenni di oggi venga sfogata con la tektonic o quello che è, o sia “colpa di facebook” (o di ask.fm, o di instagram…). Proprio dal news feed del social network zuckerberghiano, a causa dei “mi piace” messi, sempre per nostalgia, a qualche gruppo dal nome ridanciano, mi arrivano ogni tanto le notizie di un nuovo concerto. In realtà, proprio l’essere stato troppo sfigato a 14-15 anni, quando ascoltavo punk, per andare a quei concerti di cui si vociferavano grandi pogate, grandi sbronze, grandi fumate e grande slinguazzate (in coerenza con il programma narrativo messo in campo dalle band, direi), mi solletica a volte di andare a sentirli. Poi esco dalla modalità utopia e mi rendo conto che a quei concerti ci ritroverei 15enni che in effetti pogano, si sbronzano, fumano e limonano, con i quali avrei ben poche possibilità di amalgamarmi, o, molto peggio, miei coetanei (27, cazzo) appena usciti dall’ufficio, giusto in tempo per sostituire giacche e cravatte dell’Upim con magliettazze scolorite sopravvissute in qualche modo agli anni, che fanno le cose sopracitate. Orrore. E allora forse meglio continuare ad ascoltare le canzoni dei gruppi punk italiani senza più la pretesa di trovarci dentro il senso della vita e senza la patetica presunzione di volerle analizzare come se fossero poesie pasoliniane. Ma considerandole per quello che in effetti sono: roba divertente, con qualche spunto di vita vissuta abbastanza pungente qua e là (“eri troppo ubriaco per scoparti quella biondona, ora è troppo tardi, è diventata lesbicona”).
Ovviamente, se avete storie di “punk anni ’90” (ma non solo) da condividere, ci sono i commenti.
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